Vigile attesa
Akira Zakamoto è nato amato.
Ha un amico immaginario
che compie grandi imprese
chiamato Luca Motolese.
Dipinge e inventa cose futili.
Legge tanto e scrive poco.
Morirà prima o dopo
Percorso artistico
Diploma Grafico pubblicitario presso Albe Steiner, Torino
Diploma Regia cinematografica presso Officina film, Milano
Diploma lingua francese presso Università Stendhal, Grenoble (FR) Docente presso Albe Steiner Torino, Enaip Settimo torinese, Corep Torino, attività lavorativa in qualità di Art Director presso diverse aziende fra Torino, Milano, Biella, Imperia fino al 2005 Dal 2005 svolge attività artistica a tempo pieno
---
Akira Zakamoto was born loved.
He has an imaginary friend
who does great things
called Luca Motolese.
He paints and invents futile things.
He reads a lot and writes little.
He will die sooner or later.
Artistic path
Diploma in Advertising Graphic at Albe Steiner, Turin
Film Direction Diploma at Officina film, Milan
French language diploma at Stendhal University, Grenoble (FR)
Lecturer at Albe Steiner Turin, Enaip Settimo Turin, Corep Turin, working as an Art Director at various companies in Turin, Milan, Biella, Imperia until 2005
Since 2005 he has been carrying out full-time artistic activity
GATTOZAKA
Alessandro Gatto e Akira Zakamoto
Fang Art GAllert
Via Saluzzo 21, Torino
3 Dicembre 2021 – 3 Gennaio 2022
Boom
Palazzo Della Cultura
Via Vittorio Emanuele II 121 Catania.
30 Settembre 2019 – 30 Marzo 2020
3° Biennale di Genova
Esposizione Internazionale d’Arte Contemporanea
8 – 22 giugno 2019
Genova
Vai al link dell’evento
Etna Comics
Le ciminiere
Viale Africa, 12, 95129 Catania
6-9 Giugno 2019
Vai al link dell’evento
SHAMAL
Polo del 900
3 -17 Ottobre 2018
Polo del 900 Via del Carmine, 14, 10122 Torino TO
LA FABBRICA DEI SOGNI
Opera murale del Colletivo Prometeo
Luglio 2017
Via Schiapparelli Settimo torinese
MUSEO MCA
Opere
19 Marzo 2016
Piazza Municipio 1 Camo, CN
PREMIO BRANCALEONE DA NORCIA
MITO STORIA E FANTASIA.
2 Marzo 2013
Auditorium del Comune di Norcia
IN CHARTIS MEVANIAE 2012
Aria, vento, soffio, brezza e tempesta
12-31 Gennaio 2013
Chiesa di S.Maria Laurenzia, Bevagna, PG
VITTI ARTE
A cura di Migheli Arte
Dal 15 al 30 Settembre 2012
Via XX Settembre, 21 Altamura (BA)
PAESTUM
ARTE 2012
27 Luglio – 28 Agisto 2012
Piazzetta paleocristiana zona archeologica
ARTE IN TERAPIA
In occasione del 55 festival dei due mondi
Luglio-Agosto 2012
Ospedale S.maria della misericordia, Spoleto
UP AND DOWN
Citriniti, Gallo, Riba, Zakamoto
dal 6 al 22 Aprile 2012
Galleria Terrain Vague, Via Monte San Michele 17,19,21 87100 Cosenza
500CENTO CONTEMPORARY ART MEETING !
NULLA E’ PERDUTO, PUOI SEMPRE RICOMINCIARE DA LEI
Settembre 2011
Zona Tortona – Via Forcella 7 – Milano
THE GHOST PEOPLE
Staffetta di arti performative sul tema dei diritti umani
Maggio 2011
Auditorium San Vito, Barcellona Pozzo di Gotto (ME)
NO WAY TO FLY
ACCARDI, ZAKAMOTO, PESCE
Aprile 2011
monastero S. Croce – Via Frasari – Bisceglie (BT)
FIERA MALPENSA
Stand Galleria Casa d’Arte Viadeimercati
Marzo 2011
Centro Congressi ed Esposizioni via XI settembre, 16 Busto Arsizio (VA)
TRA SOGNO E REALTA’
ASL TO4
Marzo 2011
Via San Giovanni Bosco, 17 Ivrea
PROGETTO INFANZIA 2010
Collettiva a cura di Alessandra Radaelli, Chiara Canali e Stefano Castelli
Dicembre 2010
Galleria Previtali Via Lombardini, 14 -Milano
GLI UNIVERSI
DI BOTTEGA INDACO
Agosto 2010
Museo Palazzo Oddo Via Roma, 5 Albenga (SV)
‘MOM&KID”
ACCARDI, GIRAUDO, MAFFEI, SGARBOSSA, PRESOTTO, VACCARI E ZAKAMOTO
Ottobre 2010
FRIDA ARTE Piazza Giuseppe Massari,16 BARI
CITY OF ANGELS
Angelo Accardi, Akira Zakamoto, Dino Sambiasi, Alfonso e nicola Vaccari
Aprile 2010
GALLERIA FINOCCHIARO Corso Savoia, 139 – Acireale (CT)
IL SEMAFORO BLU DI GIANNI RODARI
Bottega Indaco interpreta il semaforo blu di Gianni Rodari
Febbraio 2010
PARCO DELLA FANTASIA – Museo Gianni Rodari – OMEGNA
EUASIA
Esposizione colletiva
Gennaio 2009
Port Palace Hotel, ·7 Avenue John F Kennedy, 98000 Monte-Carlo, Monaco
UFO!
Collettiva a cura della Fondazione D’ars
Gennaio 2008
EX SCUDERIE DELLA TESORIERA – TorinoCorso Francia 192
FONDAZIONE CLUB DARS – MILANO
Esposizione colletiva
Gennaio 2008
FONDAZIONE CLUB DARS – Via Sant’Agnese 12/8. Milano
Atelier Montez
Personale di Akira Zakamoto
Via di Pietralata 147/A-B 00158 Roma
19 Novembre – 19 Dicembre 2019
Vai al sito dell’evento
Satura
Personale di Akira Zakamoto
Palazzo Stella P.zza Stella 5, Genova
12-23 Ottobre 2019
Vai al link dell’evento
CASERTA JAZZ FESTIVAL
Mostra personale e scenografie del festival
28 Giugno – 30 luglio 2018
Giardini del Setificio Leuciano in Piazza della Seta nn.7 e 8 San Leucio 81100 Caserta
APOCALIPSE FANTASTICA
ZAKAMOTO A LISBOA
9 Giugno – 9 Agosto 2016
Braço de Prata – Rua da Fábrica de Material de Guerra, nº1 1950-128 Lisboa
ZAKAMOTO SULLE ARCHITETTURE DI M. RONCO
Bart
Dal 21 Novembre al 15 Dicembre 2015
Largo Marconi 1/e Torino
LA FURIA DEI BAMBINI DI ZAKAMOTO AL LIDO. INDIGNAZIONE E IRONIA NELLA VENEZIA DI ZAKAMOTO
Manni Art Gallery
11 Luglio 2015 – 2 Agosto 2015
Manni Art Gallery – Via Sandro Gallo, 97 Lido VE
ZAKAMOTO AT ITALIAN DESIGN EMBASSY
Zakamoto at italian design embassy
14 Novembre 2014
Sibyllegatan 46 Stockholm
IL MIO CAPOLAVORO
Torre campanaria della Chiesa Parrocchiale
29 Giugno – 31 Agosto 2014
Piazza Botero – Bene Vagienna – CN
LA FINE DEL LAVORO
Bipersonale di Palumbo e Zakamoto per il congresso regionale CGIL
Marzo 2014
BIT TORINO
IL FUTURO DI CAGLIARI – PERSONALE DI AKIRA ZAKAMOTO
Culture Festival
3-16 novembre 2013
Centro Museale Lazzaretto – Cagliari
PERSONALE DI AKIRA ZAKAMOTO
Galleria Arte è Kaos
3 – 28 Dicembra 2012
Via V. Veneto, 100 Alassio (SV)
AKIRA ZAKAMOTO
Alla Palazzina azzurra
Maggio 2012
Palazzina azzurra , Viale Buozzi , San Benedetto del tronto
FIABE
Akira Zakamoto
Maggio 2012
Via Mazzini 20 (Galleria Mazzini), Milano
ZAKAMOTO
Personale
Marzo 2012
Via Gustavo di Valdengo, 2 Biella
XMAS
Santa & Cole
Dicembre 2011
via Cosimo del Fante 5 Milano
AKIRA ZAKAMOTO
Casa Arte VIADEIMERCATI
Novembre 2011
Via dei Mercati, 15 – Vercelli
LE ETÀ DELL’ORO
la ricchezza infinita negli occhi dei bambini
Maggio 2011
Galleria Virando Corso Giovanni Lanza, 105 Torino
FRAMMENTI DI LUCE
dal caleidoscopio della vita
Maggio 2010
Museo Palazzo Oddo, Albenga (SV)
GLI ANGELI DI LEVATE
Personale di Akira Zakamoto
Aprile 2010
Sala Civica del Comune di Levate (BG)
SUPERHEROES
Personale di Akira Zakamoto
Gennaio 2010
Galleria ICA Alquattrodiviatorre- Via Torre, 4 PARABIAGO (MI)
INDACO
Personale di Akira Zakamoto
Ottobre 2009
GALLERIA GFV – via camurati 4 VALENZA (AL)
ANGELI
Personale di Akira Zakamoto
Agosto 2009
Oratorio di S.Caterina – Piazza Santa Caterina, Cervo (IM)
MICROMACRO
Personale di Akira Zakamoto
Maggio 2009
Galleria MicroMacro – Via Prinicipi D’Acaja, 14/b Torino
FAHRENHEIT 451, IL FILM DELLA VITA
Personale di Akira Zakamoto
Maggio 2009
GALLERIA LINEA 451 – Via Santa Giulia 40/a Torino
I CREATORI DI MONDI
Personale di Akira Zakamoto
Marzo 2009
San Gregorio Art Gallery – Dorsoduro 165 – 30123 Venezia
UN DUE TRE STELLA
Un progetto di Akira Zakamoto e Francesca Bogliolo
Dicembre 2008
Galleria MicroMacro – Via Prinicipi D’Acaja, 14/b Torino
BAMBINI INDACO
Personale di Akira Zakamoto
Dicembre 2008
Galleria Spazio10, LA SERRA – Corso Botta 30, Ivrea
“QUI”
I creatori di futuro. I bambini, luce di cambiamento
Dicembre 2008
“La Corte di Canobbio” Cortemilia (CN)
DREAM FRAME
Il sogno creatore di realtà
Ottobre 2007
GALLERIA ARTE E’ KAOS – Via XX Settembre, 98 Alassio (SV)
ISOLE, LE ROCCAFORTI DEL SOGNO
Akira Zakamoto e Ciro palumbo
Settembre 2006
LA TORRE DELLA FILANDA – Via Al Castello 8, Rivoli (TO)
MASSIMILIANO SABBION
CATALOGO SHAMAL POLO
DEL 900 TORINO – OTTOBRE 2018
Akira Zakamoto compone istantanee stupite e silenziose, dove i protagonisti
sono i bambini che osservano ciò che gli uomini hanno fatto: giocano alla
guerra, si dilettano col massacro. Ecco allora tra la realtà fotografica, il
manga giapponese e l’orrore quotidiano mettere in scena operazioni belliche che
inficeranno l’infanzia innocente costretta suo malgrado a seguire da spettatore
inerme ciò che accade. Ai giochi si sostituiscono le macerie, alla meraviglia e
alle risate l’orrore, chiusi dentro scatole tappezzate senza colori e senza
luce, i bambini ci guardano e chiedono silenti il perché di tanta violenza
PAOLO LEVI
ZAKAMOTO UN AVERTISSEUR – TRASCRIZIONE DELLA VIDEO CRITICA
Akira Zakamoto a mio
avviso ha tutte le carte in regola per considerarsi un artista giapponese, per
un motivo molto semplice: quando era bambino aveva una sana mania, quella di
dedicarsi in ogni momento della giornata alla lettura dei fumetti giapponesi.
Questa per lui è stata inizialmente l’esperienza del bambino che legge storie
di eroi del tutto surreali, delle metafore eccitanti. Giunto poi il momento
della scelta professionale, decide di diventare pittore, e diventa pittore per
elezione non a livello di freddezza professionale. Non si inciampa in nessuna
accademia di belle arti, ma studia comunicazione, ovvero il rapporto tra la
pubblicità e l’oggetto. Nel momento in cui lascia anche questo mestiere
assolutamente persuasivo, Zakamoto non dimentica la sua infanzia, la sua
fanciullezza legata ai manga, i fumetti giapponesi che per Hugo Pratt erano
immagini letterarie. Zakamoto è un pittore che deve tutto al passato, al sogno,
ma ha avuto anche una lezione da questa letteratura disegnata: il senso dei
guerrieri e dell’eroismo, che rivisita in chiave di giustizia e di sdegno. Le
sue sono composizioni tutt’altro che elegiache di cui va apprezzata la solidità
interiore di Zakamoto, questa gli consente di considerare uomini e cose nella
loro condizione di verità. Per il nostro pittore la rappresentazione
dell’uragano è un turbamento dello spirito? Al contrario, ne sa cogliere la
metafora come un messaggio ammonitore. La pittura per lui è il mezzo suadente e
colto come comunicazione della quotidiana mistificazione della realtà. La
propria solidità interiore in questo caso non gli permette di rimanere
inghiottito nel mare delle menzogne. Costantemente impegnato in tematiche
inquietanti del nostro tempo la sua coscienza attenta di artista è guidata
verso un percorso di rappresentazioni impietose. Le sue sono immagini espresse in
chiave spesso ironica, divertita e divertente, in altre occasioni anche
allucinanti. In ogni evento tematico Akira Zakamoto si attiene alla sua
professione di pittore e di cronista del proprio tempo. In effetti il suo
racconto è quello di un apocalisse che è funzionale per togliere il velo al
presente e poter poi costruire un nuovo futuro in una nuova rivelazione in
chiave paradisiaca. Non sarebbe una forzatura dichiarare che Akira Zakamoto sia
l’erede del realismo socialista che si muove in Italia in un arco di tempo che
va dal 1946 al 1970 di artisti già in quel periodo sulla cresta dell’onda della
critica e del mercato e che nel contempo riuscivano ad eseguire delle allegorie
sulla lotta di classe e sulla lotta giovanile del ’68 di giovani borghesi diventati
anti borghesi. Akira Zakamoto è invece un pittore di talento tutt’altro che
realista quanto mai surreale. E’ un inventore suadente di metafore capace di
conciliare l’eleganza delle forme con il contenuto spesso e volentieri
inquietante. L’esecuzione pittorica è sempre ineccepibile, Zakamoto gioca sulle
tonalità, sui contrappunti cromatici, sulla delicatezza dei passaggi e per lui
dipingere è come per il compositore musicale creare armonia e non disarmonia,
la disarmonia è ciò che lui nota all’esterno del mondo, qui sta la sua denuncia
verificabile nei suoi lavori recenti, nel ciclo del 2015 assolutamente
importante sulla scena pittorica italiana che oggi non ci regala contenuti ma
costrutti estetici per le case che necessitano di status symbol economici. In
una dettagliata serie di quadri surreali Zakamoto denuncia quanto sia
martoriato il nostro pianeta, affronta il tema in una rappresentazione
visionaria di un umanità senza approdi e metaforica sul piano della distruzione
ecologica. In questo caso a Zakamoto viene a pennello la situazione creatasi
nelle città di Venezia e di Marghera con il seguito dell’intervento della
magistratura. In questi lavori in cui riesce a portare Venezia a livello
simbolico per la distruzione e i misfatti ambientali globali, Zakamoto è così
raffinato da gestire la città lagunare a livello di tasselli che ci rendono
sdegnati per la nostra e la vostra indifferenza. Ciò che stupisce è avere
ancora oggi un pittore che opera su dipinti per dare un messaggio e nel
contempo è anche uno scrittore che passa il suo tempo in viaggio a scrivere.
L’autore privilegia visioni telluriche e, nel contempo, fatto curioso, riprende
Venezia con la tranquillità espressiva di un pittore di tradizione
paesaggistica oppure di architettura urbana, è qui gioca in modo colto e
subdolo come tutti gli intellettuali del pennello che non fanno sconti quando
affondano la loro lama in fastidiose verità. I suoi quadri non sono fastidiosi
a livello visivo, in apparenza sono piacevoli, di decoro, ma la differenza che
passa tra Zakamoto e un artista dell’arte povera del 68, è che gli artisti del
68 utilizzavano materiali curiosi, inusuali come la merda di Manzoni e la
borghesia li strapagava anche se i lavori erano stati pensati per non poter
essere venduti, mentre Zakamoto fa un altro gioco, molto più raffinato, offre
alla borghesia colta, partecipe, il suo messaggio che appeso alle pareti può
essere piacevolmente decorativo e osservato a fondo può donare coscienza non
sociale ma universale. Il romanziere francese Andrè Gide avrebbe definito
Zakamoto “un avertisseur”, i suoi lavori infatti sono un costante avvertimento.
STEFANIA BISON
DALLE CENERI DEL PASSATO LE RISORSE DEL FUTURO
Akira Zakamoto. Polo industriale di Porto Marghera. È emblematico lo scenario
individuato dal pittore torinese per le tele realizzate per questa mostra. Una
scelta non casuale – pregnante di significati profondi – che lascia ben poco
spazio a dubbi interpretativi. La nascita e lo sviluppo di Porto Marghera
risale al 1917, quando l’imprenditore veneziano Volpi ottenne dal ministero dei
lavori pubblici la gestione finanziaria del progetto per la realizzazione del
porto industriale. Nel giro di cinquant’anni la zona industriale si triplica, e
da una produzione inerente la cantieristica navale diventa centro propulsore
del settore petrolchimico. Il boom economico incrementa la produzione, e
insieme a essa si moltiplicano i problemi relativi all’inquinamento
atmosferico, delle acque lagunari e le serie e documentate conseguenze sulla
salute dei lavoratori. Teatro di grandi fusioni aziendali, battaglie e
contestazioni sindacali, con la crisi del settore petrolchimico Marghera inizia
a ripiegarsi nuovamente su se stessa. Progressivamente le fabbriche vengono
abbandonate, in attesa di un progetto di riqualificazione e bonifica della
zona. Ed è proprio in questo momento che, sotto cieli plumbei saturi di
inquinamento e dietro minacciose colonne di fumo, arrivano a grandi passi i
bambini di Zakamoto. Dimentichiamoci gli amorini biondi dell’iconografia del
passato, perché quelli di Akira non sono bambini qualsiasi. Sono giganti, e non
solo nella statura, che con il loro sguardo ora severo ora minaccioso,
distruggono ciminiere e scheletri di fabbriche. E, guardandoci diritti in
faccia, ci accusano. Difficile girarsi dall’altra parte per evitare i loro
occhi, perché di fronte a loro siamo tutti responsabili dello scempio
ambientale e sociale che nel corso di un secolo siamo riusciti a creare. Sono
interessanti, quanto inedite, le modalità iconografiche scelte dall’artista per
affrontare la tematica del lavoro. In queste pagine pittoriche quest’ultimo è
evocato esclusivamente dagli edifici che nel corso di un secolo lo hanno
ospitato, così come la presenza degli operai è sottintesa ma mai esplicitata.
Anche in questo contesto Zakamoto si conferma come un pittore realista che
tuttavia non rispetta volutamente i canoni di questo genere di pittura. Akira
non urla apertamente la sua denuncia nei confronti della società contemporanea,
ma la sublima e, sublimandola, indirettamente la condanna. Sono opere di forte
e immediato impatto visivo, in cui i toni scuri e scabri giocano di felice
contrappunto cromatico con i rossi delle magliette dei bambini, che richiamano
significativamente le lamiere delle fabbriche. Osservando queste sue tele ci
accorgiamo che tutto è esattamente al posto giusto, non c’è nulla di troppo o
che disturbi la vista, nessun descrittivismo superfluo volto solo ad ammiccare
l’osservatore e riempire lo spazio. Come sempre l’artista riesce a dosare con
sapienza le assenze e le presenze, caricandole di significato. Ma proviamo ora
a cambiare punto di vista e guardiamo queste composizioni pittoriche da
un’angolazione diversa. Ci accorgiamo che nulla in realtà è completamente
concluso e che esiste uno spiraglio di speranza: i cieli grevi e cinerei,
lasciano spazio a scampoli di azzurro che aprono la visuale su un futuro che
può e deve essere diverso. Se Zakamoto non avesse voluto concedere, e
concederci, una possibilità di riscatto, avrebbe lasciato che a parlare fossero
solo i profili degli edifici industriali. Ma qui i veri protagonisti sono i
bambini che, per assunto, sono la promessa e la speranza del futuro. Sono loro
che distruggendo senza pietà il passato ci offrono la possibilità di costruire
le fondamenta per un domani diverso e migliore. Dunque Porto Marghera altro non
è che l’emblema di un secolo che ha cambiato radicalmente l’economia e la
società, calpestando spesso i diritti dell’uomo e le singole individualità. Il
bambino che ci guarda con un sorriso beffardo nell’opera La fine del lavoro, è
in realtà il punto di partenza da cui ricominciare. Perché ogni fine presuppone
sempre un nuovo inizio.
STEFANIA BISON
SULLE SPALLE DEI GIGANTI
Il mondo visto da
Akira Zakamoto Nei soli artisti si sa che la vita adulta è la continuazione
naturale dell’infanzia, per questo si dice che gli artisti sono grandi
fanciulli. Alberto Savinio Del primo incontro con Akira Zakamoto ricordo senza
dubbio il mio malcelato tentativo di scorgere sul suo volto qualche reminiscenza
di fisionomia orientale: nulla di fatto, Akira non è giapponese, nè ha nel suo
albero genealogico antenati provenienti dalla terra del Sol levante. Leggendo
poi la sua biografia, che lo racconta rapito dagli extraterrestri, mi ero
chiesta con una certa curiosità che tipo di pittura potesse fare. Mi capita
spesso di cercare di intuire dopo aver conosciuto un artista, il suo tipo di
pittura. Bambini, tanti, colti nelle loro espressioni più naturali, ma anche e
soprattutto in quelle più incredibili. No, non mi sarei aspettata che Akira
dipingesse, non solo, ma principalmente, bambini. L’infanzia vive dentro e
accanto a ognuno di noi, nonostante sia una dimensione, l’unica, dalla quale
siamo tutti, irrimediabilmente, esclusi. È un universo multiforme, affascinante,
ma al tempo stesso ignoto e misterioso. Sollecita da secoli l’attenzione e la
creatività di filosofi, poeti, scrittori e artisti, è un viaggio a rebours a
cui pochi hanno saputo resistere, e che ognuno di noi, in forme diverse, almeno
una volta nella vita ha tentato di intraprendere. Forse perché rappresenta, al
tempo stesso, il nostro passato e un nostro possibile futuro. Affascinante,
senza dubbio. Inquietante, senza dubbio. La realtà è che l’infanzia guardata da
lontano si tinge sempre di un sentimento di intensa malinconia, perché è il
mondo perduto, e rappresenta soprattutto un modo di sentire, vedere, toccare,
unico e irripetibile, di cui l’età adulta ha perduto la diretta conoscenza. Dei
bambini invidiamo lo stupore con cui guardano le cose, con cui cercano di
indagare il mistero della vita. Ingenui? No, tutt’altro. E le tele di Zakamoto
ce lo dimostrano. Dimentichiamoci le teste bionde e le forme deliziose degli
amorini. I bambini di Akira sono dei veri e propri giganti – non solo nella statura
– depositari e portatori di una saggezza antica e al tempo stesso ancora in
divenire. Ed ecco dunque che noi adulti siamo i nani sulle spalle di questi
bambini-giganti, e arrampicati su di loro abbiamo la possibilità di guardare
oltre. Oltre il visibile, oltre il tangibile. Oltre tutto ciò che ci lega, e
obbliga, al presente. Non lasciamoci tuttavia ingannare dalle tele di Zakamoto.
Perché a dispetto della loro essenzialità costruttiva sono portatrici di
messaggi non immediatamente, e facilmente, decodificabili. E per essenzialità
intendo l’equilibrio pulito e lineare che domina ogni sua pagina pittorica.
Osservando una sua opera non tardiamo ad accorgerci che tutto è esattamente al
posto giusto, che non c’è nulla di troppo o che disturbi la vista, non esistono
descrittivismi inutili e superflui volti solo a riempire lo spazio. Assenze e
presenze sono dosate sapientemente dalla mano di un artista a cui, a mio
avviso, non interessa piacere a tutti i costi. Akira ha assimilato la storia
dell’arte del Novecento e contemporaneamente sembra averne fatto tabula rasa.
Le sue opere non hanno un passato – e dunque è inutile cercare citazioni e
collegamenti con esso – ma hanno un presente che vive e grida prepotente in
ogni singolo dettaglio. Consideriamo dunque Zakamoto come un pittore realista
dei nostri tempi, che non urla la sua denuncia nei confronti della società
contemporanea, ma la sublima e, sublimandola, indirettamente la condanna.
Sovverte il mondo che conosciamo, cambiando i rapporti di forza tra le cose: ci
porta per mano in un mondo lillipuziano in cui le case diventano
improvvisamente piccole e i bambini dei giganti che, non casualmente, quasi
sempre ci voltano le spalle. Ci porta su una spiaggia in cui un gruppo di donne
mature sono sovrastate dalla figura gigante di una bambina vestita con la
bandiera cinese che emerge dal mare e corre veloce verso la riva: ecco la
sublimazione della realtà, che assume tuttavia i contorni di un monito e di un
avvertimento su quello che il futuro ci potrà riservare. Ma il suo è anche il
mondo in cui Agnese magicamente si perde fra le nuvole, in cui Matteo –
fanciullino ed eroe allo stesso tempo – è un Superman che si riposa dalle
fatiche di tenerci sulle spalle. Il suo è il mondo che possiamo vedere
attraverso lo sguardo del bambino che speranzoso, e con il sacchetto della
merenda in mano, inizia il suo primo giorno nel futuro. Ed è un mondo che,
nonostante tutto, ci riempie di speranza e ci piace.
PAOLO LEVI
LE STORIE INFINITE NELLA RAPPRESENTAZIONE DI ZAKAMOTO
Verrebbe spontaneo definire di taglio concettuale queste ricerche d’ambito
figurativo. Ma, a mio parere, è sin troppo facile: Zakamoto è, soprattutto,
pittore di visioni elaborate a tavolino, che riportano un messaggio ben mirato.
Ci si avvede subito che in ogni contesto di espressività narrativa, egli tende
alla perfettibilità dell’esecuzione, nulla concedendo all’errore, sia dal punto
di vista formale che della stesura cromatica – cose che in pittura
sostituiscono, nella più assoluta emblematicità, la parola. Sono queste
certamente situazioni immaginifiche perfettamente consone alla nostra epoca,
dove tutto è costantemente rimesso in gioco, stravolgendo le premesse di un
futuro che, in questi dipinti talentuosi, è rappresentato come trepidante
speranza nei tratti di molti bambini. Perché il presente appare qui senza
passato, presentato da personaggi la cui storia ha radici incerte, nati spesso
nei fumetti, nelle pagine della cronaca, o nella narrativa popolare; effigiati
in modo impeccabile, sono sempre rivisitati e aggiornati nella loro carica
leggendaria con intenzioni etiche, sostenuti da didascalie che ne sono solo di
parziale rivelazione. È in questo contesto che agisce la concettualità di
Zakamoto: un artista che, a suo modo, va considerato un neoromantico. La sua
narrazione del tutto originale affronta le tematiche del macrocosmo sociale
contemporaneo con fredda determinazione, con raffinatezza esecutiva, tramite un
segno di esecutivo ineccepibile; in queste pagine pittoriche la scelta e la
stesura dei colori elegantemente atonali sono giocate in un sapiente dialogo
contrappuntistico, in sonorità visive portatrici di incertezze Le sue radici
museali sono quelle della Pop Art italiana la cosiddetta Scuola Romana del
secondo Novecento, dove Zakamoto conduce comunque un viaggio del tutto libero e
personale, privo di paletti intellettuali prefissati, tendendo, pur nel
contesto immaginifico che si è imposto, alla più assoluta oggettività.
Tuttavia, con questo suo modo di procedere, sarebbe sbagliato considerarlo un
artista freddo, anzi: guidato dalla sua poetica, egli riesce a esplorare i suoi
spazi interiori senza cadere nell’utopia, ma consegnando messaggi disillusi e
interrogazioni puntuali, dove le apparenze visive del suo e del nostro vivere
si coniugano con la concretezza del colore.
VINCENZO DALLE LUCHE
FRONTIERA OSCURA
La pittura è piena di “bambini” dalla notte dei tempi. Basta voltare il capo
verso la storia per ricordare i capolavori di Michelangelo, Botticelli,
Donatello, Masaccio, Giotto, Piero Della Francesca, Bellini. Tutti loro hanno
in curriculum un’opera dal titolo: Madonna col bambino e da ciascuna di queste
opere emerge un talento, una tecnica, un mestiere, una sensibilità per la
pittura intesa come eccellenza dell’espressione culturale, semplicemente
irraggiungibili per i più. E’ un tema già visto quello che affronta Luca
Motolese in arte Akira Zakamoto, classe 1974. E’ un tema affrontato,
visivamente, dalla pittura degli ultimi 800 anni e questo bravo pittore
torinese farà una gran fatica ad implementarlo ulteriormente proprio in virtù
dei colossi con i quali, la storia, impone lui di confrontarsi. Ha una bella
mano, sa certamente dipingere. I richiami alla paletta vistosa e accesa di
Wesselmann sono persino interessanti, in alcune tele. I suoi lavori hanno
certamente un ché di decorativo che non disturba, anzi soddisfa ma, i nomi
precedentemente citati non lasciano lui alcuno scampo nel territorio che si è
prefisso di esplorare. Non potrà mai, neanche da lontano, competere con quel
misterioso fanciullo che Claude Monet dipinge al fianco della sua Donna con il
parasole e, forse, il bello di Zakamoto è non averne alcuna pretesa. Il suo
lavoro è molto più semplice di così. Si prefigge scopi molto più terreni, vuole
semplicemente rappresentare, in un tempo che chiameremo “la frontiera oscura”,
il recupero di quella gioia, infantile se vogliamo ma pure benedetta, che
alberga ormai nella sola spensierata fanciullezza. Nella frontiera oscura, nel
nostro tempo, essere felici di ciò che abbiamo, accettarlo e goderlo a pieno
ogni giorno, è divenuto un concetto astratto, più di un dipinto di Kandinskij
il quale, credo, non ne sarebbe stato affatto fiero. Sognare, piangere, essere
semplicemente noi stessi, affascinarci delle cose della vita, anche di quelle
piccole, è divenuta una debolezza a meno di non dare a questi componenti
dell’umanità un aspetto che li giustifichi: il volto di un bambino. Non si
parla affatto di sindrome di Peter Pan (che per altro non era affatto un bravo
bambino), non si parla affatto di non crescere per scappare dalle
responsabilità che la vita ci propone crescendo. Dalla sindrome di Peter Pan è
afflitta una generazione intera, quella dei trentenni e delle trentenni, in
possesso di tutto e allo stesso tempo di nulla, incapaci di assumersi
responsabilità di qualsiasi natura, incapaci di confrontarsi con il rispetto
dei valori più basilari, incapaci di crescere fuori dalla campana di vetro,
incapaci di rapporti se non vissuti attraverso i filtri delle tecnologie
telematiche, incapaci di darsi delle priorità, delle regole che valga la pena
di rispettare. Figli di una rivoluzione giusta nei motivi, sbagliata e
distruttiva nei risultati. Figli di Hemingway e delle sue massime, origine vera
della bit generation (volutamente minuscola nelle iniziali): <>. Di
questo modo di pensare la frontiera oscura è madre e allo stesso tempo culla
ideale. Ma i quadri di Zakamoto non ne fanno parte, per fortuna. Anzi,
fotografano una speranza che matura sin dall’inizio del “percorso”,
nell’educazione che diamo a chi verrà dopo di noi. Registrano il desiderio di
ritrovare alcuni valori attraverso i soggetti ai quali trasferirli. Uno è
quello della famiglia che genera figli, trasferisce loro dei valori, insegna
loro a crescere e diventare uomini e donne capaci di esistere e risplendere nel
futuro senza paura di vivere pur sapendo che vivere è anche un impegno, non
solo un privilegio. Pur sapendo che Hemingway scriveva certamente molto bene
ma, che della morale non aveva davvero capito niente! Bambini che generano il
mondo che verrà e lo formeranno a loro immagine e somiglianza sulla base di
quello che viene loro insegnato oggi. La frontiera oscura ha i minuti contati..
Speriamo tu abbia ragione Zak.
LAURA COLOMBINI
AKIRA ZAKAMOTO: OLTRE LO SGUARDO, OLTRE IL FUTURO
Grandi e profondi
occhioni blu degli eroi del futuro, un futuro che di questi tempi ci fa tanta
paura. Giorni terribili che osserviamo increduli, che cerchiamo di allontanare
dalle nostre menti per sperare in un futuro migliore. Paura che si affievolisce
pian piano dietro ai colori, stesi con sapiente maestria ed intensità, dalla
mano sicura ed essenziale di questo artista, che, mai come oggi, sembra
sventolare la bandiera della serenità, della sicurezza nel domani, perché
certamente tutto sarà migliore in mano a queste piccole ma grandi creature. I
volti di angeli terreni, che guardano ad un Paradiso futuro. E se come si dice
“i bambini sono il termometro dei giorni nostri”, osservando i suoi lavori, non
si può non sperare in giorni migliori, giorni in cui anche i grandi potranno
perdersi nel cielo azzurro in cui si dissolvono bolle di sapone, mongolfiere e
stelle splendenti. Le forme sono essenziali, chiare e delineate, i colori
intensi, materici. Non esistono sfumature di colore, ma la profondità è data dall’uso
di diverse tonalità che disegnano i volti quasi palpabili di questi piccoli
uomini e piccole donne. Il volto è un catalizzatore di emozioni, occupa
prevalentemente lo spazio della tela lasciando spazio talvolta a corpicini da
supereroi scorciati dall’alto, quasi a spiccare il volo, o a richiami ad
architetture cittadine o a mondi ultraterreni. Lo sguardo è sempre, o quasi,
rivolto verso l’alto, ma sempre incontra il nostro, quasi a chiederci di
seguirli, un richiamo a cui è difficile rispondere no. Quest’artista è riuscito
a spingere oltre il suo sguardo, oltre la normalità, oltre la mediocrità, ad
abbassare la sua statura per arrivare all’altezza degli occhi dei suoi bambini,
per vedere dentro ai loro occhi e con i loro occhi, come può apparire il Nuovo
Mondo. Una bella fiaba che ci fa sognare, con la speranza che il sogno si possa
poi avverare.
FRANCESCA BOGLIOLO
La passeggiata di un pittore distratto: la caleidoscopica creatività di Akira
Zakamoto
Rodari sosteneva che
‘sbagliando s’inventa’, che dall’errore possono nascere percorsi fantastici e
creativi: tutto sta nell’assecondare i propri errori, nell’attribuire ad essi
un significato ed interpretarne il valore. Il percorso creativo di Akira
Zakamoto sembra voler esplicitare questo concetto, sembra porlo come fondamento
della propria motivazione creativa, della propria inquieta sperimentazione.
L’errore, Zakamoto lo racchiude nel nome, che in giapponese è un nome
impossibile, sbagliato, che omaggia l’Oriente, lo richiama, lo racchiude in un
qual modo, e rende l’artista riconoscibile: gli crea un’identità di cui è
difficile identificare i contorni, data la sua vasta e poliedrica produzione
creativa, che eppure appare nitida e chiara come una fiaba per bambini,
immediatamente intuibile nella propria sostanza comunicativa. Si chiede spesso,
ai bambini: ‘ma dove hai la testa?’: il volto, gli occhi, il naso, il sorriso,
sembrano tutti scivolati, atterrati nelle tele di Zakamoto, quadri specchi di
un artista che ci sembra di immaginare intento a toccarsi il collo mentre
dipinge, per essere sicuro che la testa sia ancora al suo posto. I suoi bambini
angeli, supereroi, creatori di mondi, metafore di un mondo possibile, sono
bambini con la testa sul collo, sono volti di bambini che ci guidano in un
mondo nuovo dove una poetica che vuole preludere ad un mondo migliore non solo
è possibile, ma è addirittura reale. In questo mondo Akira Zakamoto si muove
disinvolto in loro compagnia, rinasce, riconosce ciò che è rimasto di un tempo
che secondo la sua poetica è eterno. Sembra citare una frase attribuita dalla
tradizione a Dante Alighieri, e ricordarci che del Paradiso ci sono rimasti il
cielo, le stelle e i bambini, e nel farlo concede ai suoi bambini un ruolo
privilegiato di narr-attori, ne evidenzia, di volta in volta, lo sguardo od i
gesti, concentrandosi su particolari che lo attraggono più di altri, che meglio
di altri sembrano svelargli un segreto. Come ne ‘la passeggiata di un
distratto’ di Rodari, il fanciullino di Zakamoto si smarrisce, poco a poco,
nello sguardo dei suoi personaggi, che costituisce il fil rouge di tutta la sua
poetica. I ritratti, reali e reinterpretati, sembrano contenere riferimenti
alla pop art, ai manga, alla sua formazione grafica, eppure tutto questo viene
riletto alla luce di contenuti originali, in un caleidoscopio colorato
costituito da parti armoniche che risuonano insieme ai nostri occhi. Al termine
del percorso di un’esposizione di Zakamoto, tutto questo appare chiaro, come se
avessimo letto un testo ricco di contenuti tradotto in termini semplici ed
essenziali. Come se, attendendo sulla soglia il pittore al termine di una
passeggiata tra i suoi significati, a noi fossero rimasti in mano -donati dalle
tele- dei pezzi importanti per comprenderlo. Nel ritrovarlo, non potremo fare
altro che agire come la mamma del distratto di Rodari, che, nel ricomporre il
figlio, lo rassicura. A noi non resterà che dire, con un sorriso, ‘Sì,
Zakamoto, sei stato proprio bravo’.
ELISA BASSO
Zakamoto come Cassiopea dona il suo aiuto incondizionato. I bambini sono lo
specchio dell’innocenza, l’incarnazione più pura del bene, il sentiero da
seguire per entrare nel Regno dei Cieli e condizione fondamentale per entrare
nel Regno di Luca Motolese alias Akira Zakamoto. Sovente lo sguardo del
fanciullo, la cui sublime fantasia è in grado di spalancare le porte dei sogni,
è stato rappresentato come l’antitesi tra il mondo degli adulti, costellato di
incubi e di contraddizioni. I bambini sono una miniera inesauribile di trovate,
di soluzioni ardite, di impreviste conclusioni e Zakamoto si dimostra ben
consapevole di questa ricchezza e la sfrutta pienamente. La sua fiducia
esistenziale e pittorica pare riposta nei loro paffuti volti dagli occhi
brillanti di stupore ed innocenza che prima fotografa e poi riproduce con il
pennello. Le composizioni con soggetti adulti sono sporadiche, tuttavia le tele
delle “Stanze dorate” raffigurano suggestivi mezzi busti femminili con la testa
reclinata vestite con abiti-galassie. Inizialmente nei quadri erano
preponderanti le tonalità cromatiche del rosso, giallo, grigio e nero, ma in
seguito la tavolozza si è arricchita di toni arcobaleno stesi e disfatti in un
impasto più corposo e materico. Nelle ultime opere si avverte che l’artista sta
affrontando in modo approfondito lo studio della tecnica: inizialmente il
colore puro è steso in campiture piatte ed uniformi, poi gradualmente si disfa
in misture ed ombre cangianti di grande gestualità pittorica. Lo spazio della
tela è quasi unicamente occupato da visi e piccoli corpi rimpiccioliti visti
dall’alto. Solitamente lo sfondo è monocromo: cieli neri, celesti, rosa, viola,
rossi, arancioni, gialli e verdi, ma compaiono anche righe convergenti verso un
punto. Altre volte sono riconoscibili panoramiche di città, galassie con
pianeti, steroidi in esplosione, stelline stilizzate, dischi volanti che
proiettano fasci di luce, enormi numeri e frasi. Si ravvisano anche brand di
bevande americane quali la Coca Cola, Schweeps e il pupazzo Miquelito dello
spot pubblicitario della caffettiera. Da questa scelta si evince una latente
critica al consumismo ed alla globalizzazione che la società americana impone.
Un’altra problematica si cela dietro il progetto pittorico riguardante il
“Ritalin”, uno psicofarmaco sedativo che viene somministrato dai genitori ai
figli considerati ipercinetici. Nelle serie di dipinti intitolati “Portatori
del futuro” e “Creatori di mondi” compaiono volti di bambini carichi di forza e
vitalità che con aria compiaciuta ci mostrano giochi magici. Tra le loro mani
può comparire un globo terrestre per palla, o un pianeta in nuce come biglia,
ma anche una bacchetta magica a forma di stella attraverso la quale
attentamente ci scrutano. Inoltre basta solo un loro alito a trasformare delle
bolle di sapone lievi ed evanescenti in pianeti e stelle che con un
annaffiatoio cosmico abbeverano d’energia. Attraverso un semplice respiro, sono
in grado di dar vita alla loro immaginazione senza divieti alcuni e forgiare a
proprio piacimento un astro alternativo alla ormai corrotta Terra degli adulti.
Dall’esasperazione della parte profondamente anarchica e guerriera che esiste
in ogni bambino, anche nel più buono, che giorno dopo giorno lotta con le
unghie e con i denti per affermare la propria libertà d’espressione nasce
un’altra serie d’opere detta “Superoes”. L’ispirazione prende avvio dall’idea
del “Superuomo” e dall’estenuante lotta contro le “regole” che la cultura con
violenza impone ai piccoli sotto forma di carezze e schiaffi. È una battaglia
silenziosa, la rappresentazione di un inconscio selvaggio in cui i bambini
scelgono di non piegarsi ad una realtà artificiale, edulcorata ed ai loro occhi
perversa: un atto di protesta contro il mondo dei “grandi”. Si tratta sempre di
un sogno, in fondo: il sogno di un Altrove che non c’è, non poi così diverso da
quell’isola dove Peter Pan si rifugia. Con irruenti e caldi colori, Zakamoto
combatte il degrado del reale e crea piccoli supereroi che si ergono salvatori
del pianeta e volano sopra le città. Per incantesimo, i loro capelli diventano
onde, fiamme e coriandoli. Tra accennati sorrisi e occhi cangianti compaiono
pure supereroi dei fumetti americani quali Batman, l’Uomo Ragno, Capitan
America, Ironman Thor, Fiamma… e continenti. Invece, la serie di dipinti
dedicata agli “Angeli” pone in primo piano fanciulli dalla grossa testa ed il
corpo scorciato che volano verso l’alto ed indossano occhiali sulle cui lenti
si riflettono le stelle. Inconsapevoli della propria potenza, tramite la loro pura
innocenza ci riscattano dal grigiore quotidiano mostrandoci una strada diversa.
L’artista non può far altro che inginocchiarsi ed osservare l’avvento del nuovo
mondo e guardare esausto i volti dei poeti del futuro. È affascinante scoprire
come i piccoli vedano le cose “dal dritto e dal rovescio” e possiedano la
volontà di superare le apparenze senza timore, anzi lo sconosciuto si esplora e
si prova! Come nel racconto di Gianni Rodari “La torta in cielo” due simpatici
bimbi sconfiggono le paure degli adulti e gustano una meravigliosa torta scesa
dal cielo creduta da tutti un disco volante o chissà quale altra catastrofe.
Nei quadri denominati “Giro Giro Tondo cambia il mondo” ed “Avvistamenti”, tra
lo sgomento misto a divertimento, il bambino rappresenta il futuro ed osserva
deflagrare la Terra in mille frammenti di luce. Ed ecco sbocciare il
cambiamento: la fine non è altro che l’inizio di una nuova vita, dalle schegge
colorate si ricostruiranno mondi nuovi ed incontaminati lontani dalla normalità
intesa come schema rigido e modello comportamentale comune. Attraverso il
progetto “FiloDiFusione”, Zakamoto affida alla “Bandiera del futuro” il
messaggio di cambiamento che gli era stato trasmesso dagli esseri
extraterrestri che lo rapirono: “Stiamo per assistere alla nascita di una nuova
dimensione creata dall’amore, dal sogno, dalla magia e dalla follia”. Il
vessillo con il dolce viso dal lungimirante sguardo sta girando tutto il mondo
e per tre giorni sventola sui balconi di coloro che la richiedono. In tal maniera
l’opera d’arte si avvicina alle persone e per mezzo del costo di spedizione si
finanzierà una richiesta di aiuto. Zakamoto come Cassiopea dona il suo aiuto
incondizionato, saggiamente ci indica la strada della salvezza attraverso le
immagini. Invece i bambini dipinti dall’artista sono come Momo e saranno coloro
che ci insegneranno ad assaporare le piccole gioie quotidiane. Una tartaruga
speciale di nome Cassiopea sapeva “parlare”, non con la voce, ma facendo
comparire lettere luminose sul suo carapace. Questa testuggine particolare
conduce Momo da Mastro Hora. il governatore del tempo, per sconfiggere i
perfidi Signori Grigi che rubarono il tempo libero ai cittadini facendo loro
credere di poterlo investire meglio. “Le persone, così, iniziano a fare tutto
di corsa, con la fretta perché hanno tante cose da fare e da finire senza
gustare e assaporare più nulla della loro vita, vivono ormai solo con lo scopo
di fare le cose nel minor tempo possibile con l’illusione di risparmiare tempo,
in realtà stanno SPRECANDO tutto il tempo messo a loro disposizione…. senza
pensare che è il tempo, la nostra unica vera ricchezza. Perché il tempo è la
vita. E la vita dimora nel cuore.” (Michael Ende, Momo, 1973) Attraverso un
simbolismo fantastico e immaginario, sia le tele di Akira Zakamoto che il
romanzo, sono una feroce critica al consumismo e alla frenesia della vita
moderna, che nel suo progresso tecnologico e produttivo perde completamente di
vista l’obiettivo della felicità delle persone e della qualità di vita. Osservare
i dipinti di Akira Zakamoto è come leggere il romanzo fantastico di Michael
Ende, è come guardarsi allo specchio e scoprirsi incapaci di sognare; è come
spiare attraverso una sfera di cristallo e scorgere un futuro ben poco
promettente. Ciò nonostante è sempre presente la speranza di cambiare.
ELISA BASSO
I bambini di Zakamoto, non dovrebbero mai andare a dormire.
“Un ragazzo sale su
di un albero, si arrampica tra i rami, passa da una pianta all’altra, decide
che non scenderà mai più”. Il mondo letterario creato da Italo Calvino con “Il
Barone Rampante” è accostabile a quello artistico di Akira Zakamoto alias Luca
Motolese. Questo fanciullo che si rifugia sugli alberi, diventa un eroe della
disobbedienza, un’allegoria del poeta e del suo modo sospeso di essere al
mondo. Analogamente, Zakamoto, racconta di bambini che hanno già sollevato i
piedini dal suolo, per paura di essere contaminati dalla realtà e come angeli
si lasciano trasportare dall’alito della vita che li spinge con potenza verso
l’universo. Nelle “Città invisibili”, Calvino narra di un viaggiatore
visionario che descrive città immaginarie fuori dal tempo e dallo spazio e
Zakamoto li dipinge su tele quadrate. Lo scrittore durante una conferenza
tenuta a New York (1983), parlò con insistenza della distruzione dell’ambiente
naturale e della fragilità dei grandi sistemi tecnologici che possono produrre
guasti a catena, paralizzando metropoli intere; parallelamente Zakamoto,
attraverso i suoi ritratti fugge dalla catastrofe incombente e sogna. I
fanciulli nati dalla mano dell’artista, attraverso la loro creatività,
dimenticano le quotidiane ingiustizie, trovano la forza di ricominciare e
riscattano la loro e la nostra condizione, trasformandosi persino in supereroi,
esploratori, semidei e creatori di mondi. Il loro sguardo è carismatico, è pura
potenza, vitalità, non ha nulla di gracile, è forza mista a tenerezza. I
piccoli messaggeri possiedono un’espressività magnetica e profetica, ci
comunicano la loro incomprensibilità del modo di vivere degli adulti. Solo loro
potranno redimere l’umanità dagli errori commessi e per questo motivo tengono
in pugno il globo terrestre ed indifferenti giocano con i pianeti e le stelle.
Non si tratta di un’aspra critica alla società, quasi piuttosto di una cinica ed
ironica, forse disperata presa d’atto dell’omologazione del reale e
dell’impossibilità di un cambiamento da parte degli adulti. I ritratti di
Zakamoto ci permettono di riflettere sul mondo in cui viviamo, sul nostro
grigiore e sulla pesantezza di essere adulti, facendoci meditare su come
eravamo, l’energia e voglia di vivere che possedevamo, come senza
preoccupazioni potevamo volare leggeri sopra le città. Zakamoto fugge dal “qui
ed ora” verso la rievocazione del mondo infantile, ma rimane radicato nel presente,
chiamando a prendere coscienza di quello che accade ed a saper reagire.
L’artista, per mezzo del progetto “Bandiera del futuro”, vuole condividere
questa speranza del cambiamento, con coloro che lo desiderano. Ci auguriamo che
il drappo partito dalla Bottega Indaco di Torino, oltrepassi le “Colonne
d’Ercole” e arresti il suo percorso solo quando sarà stremato e soddisfatto.
Nella pittura di Zakamoto, tutto si ribalta e pare assurdo che il mondo
infantile possa rieducare i grandi, ormai disorientati. “Solo a coloro che
possiedono, con innocenza, il sorriso è dato di evocare l’utopia.” (Sergio
Moravia). Come Virgilio, Motolese è un’utopista e prevede l’arrivo di un
misterioso fanciullo, puer che porterà una nuova età dell’oro; come Esiodo
concepisce i suoi soggetti “come dèi che passavan la vita con l’animo sgombro
da angosce, lontani, fuori dalle fatiche e dalla miseria; né la misera
vecchiaia incombeva su loro […] tutte le cose belle essi avevano.” (Le opere e
i giorni) L’artista ci ammonisce a ritrovare il bimbo che è in noi ed a
conservarlo integro nonostante il trascorrere degli anni e ravvisando quel
filone letterario in cui gli autori desiderano ritornare fanciulli per dare
libero corso alla loro immaginazione. Per esempio Swift nei “Viaggi di Gulliver”
fa il resoconto di alcune viaggi presso strani popoli, coniugando fantasia e
feroce critica alla società del tempo, diventando pretesto per irridere il
sistema giudiziario, i meccanismi del potere o la politica bellicista. Come
Gulliver, i soggetti di Zakamoto, poiché non riescono a supportare la realtà di
ingiustizie e limitazioni in cui vivono, si imbarcano su una nave della
speranza e naufragano su terre sconosciute. L’artista come lo scrittore prova
vergogna per le brutalità commesse dal genere umano! Ugualmente, Zakamoto, con
la propria poetica visionaria e per la capacità di saper giocare anche in età
adulta, si ricollega al romanzo di Barrie: Peter Pan, il bambino volante che
rifiuta di crescere, trascorrendo un’avventurosa infanzia senza fine sull’Isola
che non c’è. Dunque, i bambini sono l’essenza stessa dell’arte di Zakamoto,
sono arte pura. Non dimentichiamo che l’arte è gioco, è fantasia, è capacità di
comunicare, sorprenderci, ingannarci e dunque l’artista non avrebbe potuto
scegliere soggetto più adeguato per smuovere l’animo! Si può parlare di
nostalgia di un’infanzia innocente e felice, di un Eden che sulla Terra non è
più possibile creare, allora perché non realizzarlo altrove, per esempio con un
colpo di pennello intinto di arcobaleno? Similmente a Matisse, ripropone una
visione emozionale e vitalistica, in cui figure ed oggetti non vengono
indagati, ma sentiti e accostati armoniosamente secondo rapporti cromatici:
ogni cosa partecipa alla gioia di vivere. È lontano dalla tragicità e dalla
disperazione del reale, benché ne sia consapevole, tuttavia trova riparo in una
dimensione lirica e spensierata: è pura utopia, straniamento dal reale alla
ricerca di mondi migliori, è luminoso sorriso. “Solo a coloro che possiedono,
con innocenza, il sorriso è dato di evocare l’utopia.“ (Sergio Moravia) I
quadri di Zakamoto hanno un aspetto festoso, ludico, tra l’onirico, allucinato
e visionario; le sue vistose immagini si fissano nella mente in maniera
indelebile, con sguardi ipnotici e accattivanti, attraggono l’attenzione dello
spettatore come una grafica pubblicitaria riuscita. Il pittore stende il colore
in modo carico e piatto, esaspera l’uso di toni puri e saturi come i fauves.
Ritrova il valore espressivo della cromia, rinunciando alla mistione e alle
sfumature, cercando solo accostamenti funzionanti. Il suo eccesso cromatico
innaturale e acido mi ricorda un pugno di caramelle o di coriandoli lasciati
cadere su una tela. Rifiuta la spazialità classica, le figure sono sospese
nell’eternità fantastica e metafisica. Attraverso il computer, semplifica e
sintetizza le immagine fotografiche rievocando Andy Warhol e la scuola pop
romana, in particolare Tano Festa, per la riproposizione di soggetti come
immagini pubblicitarie. Si percepisce l’influenza stilistica della pop art, dei
fumetti, dei cartoons tanto amati da Roy Lichtenstein, dal fascino del manga
giapponese e azzarderei pure di Jacque Monory. Nell’ultimo periodo, il suo modo
stilistico si sta dirigendo verso una nuova gestualità e matericità più
marcata, grazie anche all’introduzione di pastelli più morbidi. Come diceva
Picasso: ”Disegnare è un modo per scrivere storie.” e Zakamoto ha proprio colto
il significato di queste parole in quanto persino la sua biografia è una
favola: inizia con “C’era una volta un bambino rapito dagli alieni” e si
conclude con “i bambini angeli e supereroi riscoprirono l’essenza della vita,
ridiedero voglia di vivere ai grandi e vissero tutti felici e contenti”.
Bisogna avere gli occhi dei bambini per cogliere l’essenza del mondo e la
pittura di Zakamoto ci indicano che esistono mondi felici in cui l’umanità sarà
redenta e felice, bisogna solo mantenere la loro visione anche crescendo. I
bambini non dovrebbero mai andare a dormire; si svegliano più vecchi di un
giorno.” (James Matthew Barrie)
FABIO CARNAGHI
La giovane età degli angeli, i bambini di Akira Zakamoto
Il mondo di Akira
Zakamoto nasce in seguito alla scomparsa del piccolo Akira, rapito da creature
aliene dall’umanità, da qui la missione del bambino di svelare le verità
conosciute nel suo lungo viaggio. Questo aneddoto, a metà tra suggestione
onirica e genere manga, è il manifesto della personalità artistica di Zakamoto
alias Luca Motolese. L’approccio gnoseologico all’arte attraverso la dimensione
profetica diviene escamotage creativo per esplorare mondi, linguaggi figurativi
e concetti, altrimenti confinati in un sentire convenzionale e limitativo. Tale
sdoppiamento biografico, inoltre, consente un’esistenza meramente artistica,
passe-partout verso una dimensione nuova, rivelata dalla sensibilità autentica
di un bambino. In questi termini il tema del bambino diviene cruciale nella
poetica di Zakamoto/Motolese, individuando una sorta di pedagogia à l’envers,
ovvero un’educazione guidata dalla forza inesauribile di piccoli uomini.
L’anima dell’infanzia si svela attraverso lo sguardo indagatore di occhi che
dell’innocenza mantengono talora una fissità penetrante, talora un’espressività
tenera e disarmante. I bambini di Zakamoto convertono in potenza comunicativa la
fragilità che comunemente li avvolge. Gli sguardi, colti nella loro semplicità,
rompono l’atmosfera candida e ludica, in cui tali soggetti vengono
convenzionalmente collocati. L’indipendenza iconografica da schemi tradizionali
pone il bambino al centro del contesto figurativo, nel quale vige una totale
autonomia dimensionale e prospettica dell’immagine in primo piano rispetto alle
scenografie che la ospitano. La definizione di angeli attribuibile a creature
celesti è sostenuta dal significato etimologico del termine che risale
all’accezione di angheloi, cioè di messaggeri. Il messaggio che deriva da
questo mondo concettuale è celato nelle pieghe di un tono profetico ed è
sottolineato dal tema cosmico presente in molte opere dell’artista. In realtà
la metafora dei bambini cosmonauti – superficialmente relegabile ad una patina
esclusivamente pop-fumettistica – non è altro che strumento per enfatizzare
l’onnipotenza dell’immaginario infantile. La contrapposizione infinito/ finito
si traduce in ribaltamento prospettico attraverso la formula d’attenzione
dell’infinito spaziale, ridotto rispetto all’ingrandimento dei volti dei
bambini. Questa smaterializzazione del grande e del piccolo sovverte gli schemi
consueti ed individua il nucleo essenziale dell’arte di Zakamoto: il bambino è
cosmodemiurgo, ossia creatore di mondi, in grado di plasmare la realtà
attraverso l’immaginazione, scintilla divina. Ogni bambino che costituisce
l’espressione più germinale della natura umana detiene la libertà e la forza di
superare ogni categoria adulta nella mente dell’uomo. Lo spazio subisce una
riduzione di scala, il tempo non governa le età. In questo senso si può leggere
la sospensione spaziale delle figure, mentre il bambino diviene paradigma
temporale che incarna un eterno presente. In questo nuovo ordine iconografico,
prima ancora che contenutistico, figure infantili vagano sospese in atmosfere
cosmiche e talvolta cosmologiche: ora esploratori dello spazio, ora artefici di
mondi. Interi continenti divengono macchie di colore sui volti, quasi esiti di
vivaci performances ludiche, mentre la Terra è una palla nelle mani di creature
in apparenza così fragili, ma così eterne. Nella serie Angeli (2009), Zakamoto
propone una variazione sul tema, rivisitando se stesso attraverso un nuovo linguaggio
figurativo. Permane la cifra deformante della convenzionale proporzionalità,
mentre gli angeli bambini volano su luoghi umani. In particolare le città sono
gli scenari su cui i bambini di Zakamoto fluttuano. Il taglio personalizzante
dell’ambiente antropizzato, riconducibile alla realtà, differenzia questo ciclo
di opere dalle ambientazioni astronomico-planetarie dei lavori precedenti. Il
luogo umano ha la meglio sul non luogo, conferendo un’aura nuova ai contenuti.
Gerusalemme, Tokio, Pechino, Madrid, Parigi, Firenze e Torino sono alcune delle
città su cui volano i piccoli angeli, che dominano le grandi tele. La forza
rivelatrice dei bambini riesce a sorvolare i luoghi dell’umanità, siano essi
megalopoli del progresso, centri della tensione politica internazionale,
storiche città del Vecchio Continente. L’ottica dell’artista agisce su ogni
dimensione umana riducendo le città-simbolo del mondo in plastici scenari di
gioco in cui campeggiano le espressioni curiosamente stupite e disarmanti dei
volti infantili. Questa risposta spontanea è senza retorica l’affermazione
della vita che si rinnova nei tanti sguardi vivaci, curiosi ma più
consapevolmente disincantati di quanto voglia farci credere la nostra coscienza
adulta, che rimpiange di essere cresciuta.
CARLO GAVAZZI
Akira ha messo
(definitivamente?) in garage le astronavi e in soffitta le isole volanti,
lasciando come uniche concessioni al passato le stelline e qualche mondo che
esplode: si è tutto concentrato sul volto dei bambini, dai lattanti senza
nemmeno il primo dentino fino alle soglie dell’adolescenza. C’è talmente tanto
mistero in un viso di bimbo che non viene più voglia di andarlo a cercare
altrove. Come sempre, ciò che il visitatore osserva non è tutto, poiché il
nostro artista sente il bisogno di accompagnare le immagini con parole che ne
sintetizzino il significato: tale scritto è stampato sul pieghevole della
mostra, piccolo ma curatissimo oggetto cartaceo che nell’equilibrio grafico fra
visi infantili, mondi in disintegrazione e parole è davvero di rara bellezza.
Akira sa non solo dipingere ma anche scrivere, e il messaggio che vuole
trasmetterci con le parole è un’amplificazione, o meglio un’esegesi (personale
ma non distorta) di ciò che disse Gesù circa i bambini e la necessità di esser
come loro, perché a chi è come loro appartiene il regno dei cieli – il quale
regno, ammonisce lo stesso Maestro, non è da cercarsi altrove, nell’amletico
“paese non ancora scoperto dai cui confini nessun viaggiatore ritorna”, bensì
quaggiù, fra noi. Per scoprirlo bisogna avere occhi e guardare nella direzione
giusta. Una possibilità è proprio quella di fissar negli occhi un bimbo e, più
che non leggergli dentro, lasciare che sia lui a leggere noi. È quanto
suggerisce la mostra. Il modo di rappresentare gli occhi infantili da parte di
Zakamoto ha raggiunto negli ultimi dipinti una raffinatezza ed efficacia
ammirevoli, pur con mezzi semplici: tirando ancora in ballo il Cristo, la
lucerna del tuo corpo è l’occhio, e se il tuo occhio è nella luce tutto il tuo
corpo sarà nella luce. Come il volto rappresenta per Akira la parte per il
tutto ed è più che sufficiente a sintetizzare un intero corpo umano, così a sua
volta l’occhio basta da sé a far vivere e caratterizzare il viso. Il bambino è
tutto d’un pezzo: se è triste non è solo triste, è disperato, se è allegro
sprizza una gioia travolgente da tutti i pori; non può né vuole dissimulare i
sentimenti, dalla paura alla curiosità, dall’attesa alla perplessità. Akira,
padre di bimbi, lo sa bene e altrettanto bene lo rende nei suoi quadri. Anche
nei due casi in cui si concede il vezzo di coagulare l’alternarsi di luci ed
ombre sul viso del piccolo in macchie che hanno il profilo dell’America: non è
detto che l’osservatore se ne accorga subito…. Quasi inevitabile, a questo
punto, scegliere un volto infantile di Zakamoto per fissare (e attirare) il
possibile lettore di un libro sui bambini indaco quale L’avventura indaco –
cristallo di Celia Fenn: ne esce una copertina indovinata e accattivante, che
fa presagire per il nostro un futuro ricco di soddisfazioni anche come
illustratore. Magari non solo di copertine, e non solo per un pubblico adulto:
un libro per l’infanzia pieno di bimbi zakamotiani anche nelle pagine interne
verrebbe benissimo…
NICOLA DAVIDE
ANGERAME
La sua esperienza di rebirther lo porta a ripercorrere tappe di un’infanzia
dimenticata, che si traduce in una pittura essenzialista, dove gli sguardi in
primo piano di infanti fungono da traghettatori del nostro sguardo interiore
verso una dimensione cosmica, antica e futura come il viaggio che Stanley
Kubrick fa compiere all’astronauta Bowman in 2001 Odissea nello spazio. Ad una
tale odissea, interiorizzata e cosmica al tempo stesso, si riferisce la pittura
di Zakamoto, che presenta alcuni punti di contatto con l’estetica giapponese
dei manga, fumetti giocati esclusivamente sulle valenze emotive e narrative
dell’immagine, che incontra nel colore un importante luogo di assimilazione del
concetto, di esasperazione della realtà e di trasfigurazione dello spazio-tempo
lineare in immagine fantasiosa. In un suo dipinto intitolato Il mondo ci
osserva, abbastanza esemplificativo della serie, Zakamoto esalta l’azzurro
degli occhi di un bimbo e il suo sguardo rivolto verso le altitudini
incommensurabili di uno spazio siderale, dove a volte interi pianeti cadono in
frantumi. “Per me hanno il significato di un cambiamento”, dice Zakamoto. Il
bimbo possiede uno sguardo indagatore ma anche di stupore metafisico, dettato
dal miracolo di un esserci, qui e ora, e di essere posto di fronte alla
magnificenza annichilente del creato. Sul suo volto, una macchia della pelle a
forma di continente americano, ne trasforma le fattezze reali in una carta
geografica dove macrocosmo e microcosmo, l’universo e l’uomo, si rispecchiano
l’uno nell’altro. I colori si fissano in questi ritratti come zone piatte di
azione statica, come continenti di una mappa “politica” dell’Atlante. Zone di
confine, patchwork, puzzle di zone-colore che diventano volti, sguardi,
domande. Le luci e le profondità sono l’effetto di un accostamento di tinte
separate e cucite insieme, ciascuna intenta a produrre un proprio risultato, a
sviluppare un frammento di linguaggio pop dove la sparizione delle sfumature,
l’appiattimento del campo cromatico reso luccicante dall’uso delle lacche
rappresenta una dichiarazione estetica. Zakamoto sceglie una pittura
pellicolare, zonale, dichiaratamente propensa ad una semplificazione
artificiale della pittura affinché questa possa trasmettere sensazioni
primarie, essenziali. Una pittura che non vuole distogliere attraverso
l’esaltazione del particolare ma comunicare immediatamente, istintivamente, la
forza di un sentimento che è quello di un’infanzia perduta e ritrovata da
Zakamoto attraverso una pratica, quella del rebirthing, che è paragonabile
forse ad un sogno controllato, un viaggio interiore nei meandri di ricordi
ancestrali, quelli dei primi anni di vita di cui non abbiamo coscienza ma che
agiscono dentro di noi come meccanismi inconsci, come traumi che scavano la
personalità e forse anche come sogni, immaginazioni, desideri che determinano
scelte di cui non sappiamo, ormai adulti, dare una spiegazione esauriente. Come
se un fiume carsico scorresse dentro la nostra anima scavandovi sentieri
ininterrotti ai quali Zakamoto tenta di dare un volto.
ROSANNA DELL’UTRI
Le roccaforti del sogno
Il potere dei sogni.
Così meravigliosamente smisurato, il potere dei sogni, da suggerire fiabe
all’orecchio omerico di cantori di ogni dove, da sublimare l’essere alla
dimensione semi-divina che tutto concede e può. Può creare, vivere di
un’intensità millenaria, modellare paesaggi mentali in cui i protagonisti si
alternano ma condividono, sempre, un non spazio, in cui l’unico escluso è il
reale. E quando a sognare sono i pittori, con la netta volontà di raccontarli i
sogni, attraverso linguaggi espressivi che conducano lo sguardo dell’estraneo
fin dentro la natura dell’onirico, allora si assiste a un miracolo. Di chi
trasforma in segno ciò che per gli altri rimane astratto, di chi dà forma e
sfumature al sogno, di chi racconta una favola intrecciata alle pennellate, che
ad ogni cambio di colore si gira pagina. Akira Zakamoto. Arte dai colori
brillanti, la sua, su supporti quadrati, sempre della medesima dimensione, e
gli elementi ritornano, puntuali, poiché suoi intimamente, come un sogno
familiare che ricorre e non sorprende, accogliente nel circolo delle visioni;
l’artista sembra trasporre sulla tela il negativo di miraggi notturni,
fotografati nell’istante della rivelazione che apre gli occhi, anche nel sonno.
Pittura senza filtri, varco nella mente nella piena fase allucinata in cui la
visione si manifesta trepidante e vera. E così eccole, le stelle che
illuminano, le pietre sospese nel vuoto, astronavi che brillano di scie
vivifiche in una dimensione che nulla ha di reale. E in primo piano, con lo
sguardo fisso in quello dell’osservatore, volti di angeli mostrano la via del
possibile, indicando l’isola dell’eterna beatitudine, il pianeta su cui l’uomo
troverà salvezza, sempre viaggiando, personale esodo. C’è un universo pieno
nelle tele dell’artista e dietro le immagini, vivide, una filosofia
dell’esistenza che traspare e si manifesta attraverso quadri-racconti ricchi di
segni, allusioni, trame che mai si esauriscono alla sola occhiata fugace. Il
pittore torinese dal nome orientale imposta la sua pittura, tutta, sul senso di
un contatto con un altro mondo, ponte che attraverso la deliziosa ignoranza di
bambini-Maestri e di creature angeliche ancora non contaminate, permette
all’uomo di atterrare nel non-luogo, dove la bellezza può essere assaporata e
colta, in una dimensione priva di condizionamenti. Anche per Zakamoto, come per
Palumbo, è Utopia. Quando due pittori si uniscono nel segno dell’onirico si
assiste a un miracolo, dicevamo. Si assiste alla costruzione di
un’inespugnabile fortezza del sogno, alla volontà di delineare marcati i
confini di un limbo in cui la creazione è condivisa e il passaggio verso il
non-luogo è offerto e raccontato. Ed è questa la storia che in una torre a
Rivoli verrà narrata a settembre, attraverso l’esposizione di dipinti i cui
differenti linguaggi Palumbo-Zakamoto parleranno della stessa visione altra. La
Torre della Filanda, dal 23 settembre al 1 ottobre diviene infatti luogo sacro
in cui dipinti e realtà indefinibili, al limite tra arte visiva e uditiva,
coinvolgeranno il pubblico in un viaggio percettivo dalle sfumature sonore e
tattili. Dove gli angeli di Zakamoto vivranno, sorridenti, tra le rocce delle
isole di Palombo, nelle intoccabili Roccaforti del sogno.
Premio 25° concorso nazionale d’arte contemporanea “Satura arte”
Premio 24° concorso nazionale d’arte contemporanea “Satura arte”
Premio Fondazione Esperienze di Cultura Metropolitana, Ecomuseo del Freidano
Premio internazionale B.ART bando internazionale di arte pubblica promosso dalla Città di Torino
SOLCHI
Uno spettaccolo multiarte di Bottega indaco per Telefono rosa
12 Marzo 2010
TEATRO VITTORIA Via Gramsci, 4 – Torino
MENO MALE!
Expo-performance di Bottega Indaco e Telefono Rosa
4 Marzo 2009
TEATRO VITTORIA Via Gramsci, 4 – Torino
CAMBIAMENTO UNIVERSALE NELLO SPAZIO
Expo performance di Bottega Indaco
10 Ottobre 2008
Spazio Tadini – Via Jommelli, 24 Milano
IL VOLTO, INCARNAZIONE DEL SOGNO
Expo performance di Bottega Indaco
30 Agosto 2008
EX CHIESA ANGLICANA – Via Adelasia 10 Alassio (SV)
L'Artista esegue Opere su commissione, riguardanti la ritrattistica e la variazione di opere proprie